14/12/00

MY DREAM GIRLS


Fotografie di Fulvio Bortolozzo.

La serie My Dream Girls è una collezione virtualmente interminabile di fotografie scattate ai manichini femminili esposti nelle vetrine delle boutique europee. Nel succedersi degli scatti,  realizzati seguendo l'emozione del momento, l'attenzione si è concentrata sui volti.

La luce, le acconciature, gli sguardi, le stesse fisionomie contribuiscono ad un recupero di esistenza. La fissità indotta dal calco del vero volto femminile che è servito come matrice nella produzione dei manichini, invece di ostacolare l'inattesa vitalità, vi aggiunge una qualità emotiva che il volto di una donna nata da donna non può raggiungere, almeno non con quel particolare tono.

Qualità emotiva alla quale contribuisce la scelta di rappresentazione fatta nell'istante dello scatto, con un transfert incrociato tra autore e soggetto inanimato che aumenta la complessità inesprimibile del risultato raggiunto.

Dal 14 gennaio al 3 febbraio 2001.

Caffè del Teatro Verdi
Via Pastrengo 16/18, Milano.
Orario: dal lunedì al sabato, ore 18.00 - 01.00



05/12/00

ALPHAVILLE


Fotografie di Fulvio Bortolozzo.

L'autore ha intitolato Alphaville questo nuovo lavoro realizzato negli ultimi due anni tra Torino, Milano e Nizza (Nice, Côte d'Azur).

Un titolo che è un aperto omaggio al film di Jean-Luc Godard Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution (1965). Le sensazioni provate diversi anni prima durante la visione di quel film sono sopravvissute, all'interno di un ricordo divenuto ormai evanescente, e hanno "guidato" l'autore nella selezione delle opere esposte.

Nel film di Godard vengono anche letti alcuni brani da poesie di Paul Eluard. Uno in particolare è apparso come la migliore presentazione possibile per questo lavoro:

Nous vivons dans l'oubli de nos métamorphoses.


Dal 5 gennaio all'11 febbraio 2001.

Foyer del Teatro Araldo
Via Chiomonte 3, Torino.
Orario: Si prega di telefonare allo 011.331.764 per informarsi sui giorni e gli orari di apertura della mostra.



26/11/00

Mario Giacomelli a Mogginano

Ebbi il piacere di conoscere personalmente Mario Giacomelli il 13 aprile 1997, grazie a Roberto Salbitani che lo aveva invitato a fare una visita al nostro gruppo, all'epoca impegnato a seguire un corso sul raccontare con le immagini tenuto da Salbitani stesso in una amena cascina sui colli di Mogginano.

Nell'occasione riuscii a discutere con Giacomelli in difesa di Ghirri, che egli non apprezzava, ma soprattutto potei condividere una giornata indimenticabile con un uomo di grande semplicità e interiorità. Con la massima naturalezza sparse per noi su un prato le stampe di un suo lavoro, per farcele vedere meglio, diceva.
In realtà ci stava dando una incredibile lezione di umiltà. Da allora, con sempre maggiore convinzione, penso che conti il lavoro, la passione, l'attenzione costante all'espressione di ciò che si ha dentro, e che tutto il resto siano formalismi vuoti, buoni per i poveri di spirito.

Di quel giorno conservo alcune fotografie che pubblico ora su Mocambo in ricordo ed estremo omaggio all'artista fotografo che più di ogni altro rivoluzionò la cultura fotografica italiana degli anni '50 e '60.


















All photos: ©1997 Fulvio Bortolozzo.

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16/11/00

Aleksandr Rodchenko

Con questo intervento su Rodchenko, inizia una nuova serie di scritti pensati appositamente per Mocambo.
Mocambo è blog pubblicato per passione e rivolto ad altri appassionati. Questo fatto mi esime dal competere con le recensioni delle riviste di settore, per cui ho rinunciato consapevolmente a confezionare un testo critico ed informativo, a favore di un più sciolto e colloquiale commento. Il parere, insomma, di un avventore in vena di far due chiacchiere con gli amici, sorseggiando, in questo caso, una vodka lemon.

Fulvio Bortolozzo


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Aleksandr Rodchenko 1891-1956
(fotografia e grafica)

La voce di Carmelo Bene, cantilenante ed ipnotica mi accoglie nelle sale della Fondazione, solo dopo riesco a scorgere la prima fotografia di Rodchenko. Proviene da un videotape che gira su un piccolo monitor in un angolo. Per tutto il resto della visita quella voce contribuirà ad aumentare la commozione del ritrovarsi insieme ad Aleksandr Rodchenko.

Il fotografo Rodchenko nasce dopo le esperienze visive come pittore e grafico, Fece parte del movimento Costruttivista capeggiato da Tatlin e visse intensamente, e da protagonista, gli anni che seguirono i dieci giorni che sconvolsero il mondo. Nel 1921, quando aderisce al gruppo di Tatlin, è un trentenne che pensa veramente alla possibilità di coniugare arte e vita per la costruzione di un mondo nuovo, socialista e solidale. Un'umanità che si lasci alle spalle tutti i retaggi del passato ed inventi giorno per giorno il suo luminoso futuro. La fotografia è per lui nient'altro che un'arte nuova, audace, in grado di sovvertire tutte le accademie.

Le iniziali fotografie degli anni '20 sono delle proiezioni dirette delle sue esperienze grafiche. Quella grande grafica rivoluzionaria che seguendo la lezione di El Lissistky si cimenta nella produzione degli stampati sovietici. L'artista deve uscire dal suo atelier e impugnare gli strumenti del lavoro quotidiano, per contribuire a creare un'avanguardia illuminata in grado di dare al popolo la futura umanità promessa: nuove riviste, nuovi manifesti, nuovi film, nuove case, nuovi mezzi di trasporto, tutto nuovo e fatto al massimo delle capacità progettuali e produttive di un'intera generazione. Illusione generosa che l'avvento di Stalin, avrebbero spazzato via.

Nella mostra, che la Fondazione ha coprodotto con il Musée National Fernand Leger di Biot, tutta questa tragedia artistica è presente, anche se solo ad un occhio attento ed erudito sui fatti. Lo svolgersi triste degli eventi è tutto lì, davanti agli occhi del visitatore. Dalle prime emozionanti fotografie con le loro ardite prospettive, passando per gli intensi ritratti di compagni e amici, sino alle stanche riprese fatte alle manifestazioni sportive staliniane, senza più l'estro di un tempo e nemmeno l'energia visionaria che una Leni Riefenstahl manifestava, in quegli stessi anni, a Berlino.

(vista il 16 novembre 2000)





Fondazione Italiana per la Fotografia
via Avogadro 4, Torino
(tel. 011.544132)
Ingresso: Intero Lire 10.000; ridotto: Lire 7.000
Orario:
15.00 -19.00 dal martedì al venerdì.
10.00 - 19.00 sabato e domenica.

Dal 16 novembre al 14 gennaio 2001.


21/09/00

Campi di oscillazione



Enzo Obiso, "Occhi d'artista", 2000.

La fotografia, all'incrocio dei linguaggi artistici contemporanei, occupa uno spazio sempre più importante.

L'evento artistico caragliese, realizzato dall'Associazione Marcovaldo con il contributo dell'Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte, fa parte di un piano di più ampio respiro volto a coniugare la valorizzazione di un territorio omogeneo, le terre dell'antico marchesato di Saluzzo, con la presenza in loco dell'arte contemporanea internazionale.

In questo senso, Tiziana Conti, curatrice della mostra, ha selezionato trenta artisti le cui opere possano rappresentare interessanti punti di riflessione sullo stato delle arti visive di fine millennio. Per dare sviluppo cronologico alla sua tesi di fondo, la curatrice ha scelto di suddividere la mostra in due sezioni, peraltro non delineate al meglio nonostante la suggestione del luogo scelto: un ex convento ottocentesco interamente occupato dalle opere sparse nel giardino, nel loggiato chiostrale e nelle singole celle dei monaci.

La sezione storica intitolata "Anticipazioni" raduna dieci artisti che si sono contraddistinti nel passato per la marcata carica innovativa della loro ricerca linguistica. La sezione "Prospettive" presenta i restanti venti artisti considerati come rappresentativi delle principali tipologie del linguaggio artistico attuale.

Per lo specifico di Mocambo, è interessante notare che, mentre nella prima sezione solo Georges Rousse usa la fotografia come mezzo di presentazione finale del suo lavoro di intervento pittorico-anamorfico sugli ambienti reali (Turin, Murazzi, 1999), la metà degli artisti della sezione "Prospettive" se ne avvalgono in vario modo. Parrebbe che il Combattimento per un'immagine, oggetto dell'epocale esposizione alla GAM di Torino nel 1973, stia volgendo a definitivo favore della fotografia. Probabilmente siamo in realtà solo di fronte ad uno dei campi di oscillazione sui quali Tiziana Conti pone l'accento. A testimoniarlo sta il fatto che se è vero che la fotografia viene ormai impiegata frequentemente dagli artisti contemporanei, non è meno vero che in questo passaggio viene sempre più spogliata della sua peculiarità tecnica sino a ridursi spesso ad essere solo un componente di operazioni ed installazioni più complesse.

Nel caso di Alan Balzac, pittore attento al valore testuale dell'opera, la fotografia è impiegata per dare sfondi di banalità domestica a frasi ad essi sovrimpresse (Every day my confusion grows, 2000). Da notare che Balzac sceglie come supporto la tela, ma stampata a getto d'inchiostro, con tutto l'effimero della durata di questa tecnologia al tempo e alla luce solare. Robert Gligorov, che usa la fotografia per fissare le sue impressionanti contaminazioni del corpo umano, è qui rappresentato, oltre che da una notevole installazione, da una fotografia di rosa sessuata quanto mai icastica (Rosa, 1999). Susy Gòmez si affida invece ad una fotografia dell'impronta di labbra femminili (Kiss, 1997-99) in grandi dimensioni, di buon effetto. Roni Horn, propone alcune stampe offset, scelta curiosa, di aspetti monotoni dell'ambiente islandese. (Suite n°4, 1991). Karen Knorr prosegue la sua fredda indagine concettuale sugli stereotipi culturali con la serie dei Musei, dalla resa fotografica nitidissima e "all focus" (The analysis of beauty connoisseurs, 1988). Marcello Maloberti estrapola, dai video di sue azioni, delle stampe in digitale di mera funzione testimoniale della messa in scena (Per valutare il disfacimento ecc., 2000). Miltos Manetas interviene pittoricamente su stampe ottenute dalle schermate dei videogiochi (untitled, 1997). Giovanni Manfredini imprime il corpo umano su carta trattata  chimicamente, quasi dei Rayogramme, con risultati di efficace drammaticità (Tentativo di esistenza, 1999). Enzo Obiso, degli artisti presenti, è il più autenticamente e profondamente legato alla specificità del mezzo. In questa occasione presenta due suggestive installazioni realizzate con stampe fotografiche in bianco e nero di piccolo formato, nella prima delle quali mette insieme settanta occhi di artisti da lui fotografati (Occhi d'artista, 2000). Infine, Luisa Raffaelli porta avanti un delicato lavoro di autocoscienza, con rimandi letterari, attraverso fotografie di grande formato di modelle e volti femminili affondati all'interno di secchi zincati (My world, 2000).

(vista il 21 settembre 2000)


Campi di Oscillazione
Caraglio (CN), Convento dei Cappuccini.
Fino al 29 ottobre 2000

Curatore: Tiziana Conti.
Orario: dal giovedì alla domenica, ore 15.00 - 19.00
Ingresso: intero Lire 10.000; ridotto: Lire 7.000
Informazioni: Associazione culturale Marcovaldo
(Tel. 0171.610256 / 618260) Catalogo: Ars Nova edizioni, Torino (Lire 35.000)
Contributi in catalogo: Tiziana Conti; Olga Gambari.

Da non perdere: il biglietto consente la visita di altre sei mostre personali di artisti contemporanei allestite in luoghi storici delle vicinanze, radunate sotto il titolo "Creazioni della Memoria".


13/09/00

Robert Doisneau - La dolce vista


A distanza di due anni dalla ampia retrospettiva di Palazzo Cisterna, il mondo di Doisneau torna a proporsi allo sguardo dei torinesi. Gli elementi che lo compongono sono oramai arcinoti, trattandosi di uno degli autori d'oltralpe più apprezzati dal pubblico internazionale per la universalità e semplicità, apparente, delle sue fotografie.

Il valore di Doisneau non risiede certamente nella sua qualità di stampatore, e l'attuale esposizione ne è una riprova, ma nella simbologia che ha saputo trasmettere attraverso le sue immagini. Nei risultati migliori vi è difatti sempre un superamento dell'evento ripreso in direzione della sua valenza ideale. La famosa fotografia "Le baiser de l'Hôtel de ville" del 1950, qui esposta con una vintage print, ne è un esempio lampante, assurta com'è a simbolo dell'innamoramento giovanile e diffusa da anni come poster in tutto il mondo.

In altri casi Doisneau non arriva a risultati altrettanto efficaci ed oggi alcune sue immagini ci appaiono indulgere troppo al bozzetto di genere. In questo senso, la selezione delle 61 opere della mostra, in massima parte comprese tra la metà degli anni Quaranta e la fine dei Cinquanta, non risulta felicissima. Puntando eccessivamente su Doisneau come divertito cantore di una Parigi d'antan, fatta di vivaci quartieri popolari, "poetiche" banlieu e piccoli siparietti comici, si rischia di travisarne l'autentico valore. Per evitare simili fraintendimenti, oltre ad una diversa scelta delle immagini esposte, sarebbe stato auspicabile ripetere l'utile presenza di quell'apparato didascalico con il quale la Fondazione aveva accompagnato le ultime mostre storiche (Bourke-White e Goldbeck).

Va difatti considerato che la Parigi fotografata da Robert Doisneau è così culturalmente lontana da noi che, senza una lettura storicizzata, ci appare troppo vicina all'iconografia banale di cui si nutre l'odierno immaginario nostalgico. Invece la grande intuizione innovativa di Doisneau fu proprio di fotografare ciò che allora era ritenuto senza importanza, di portare alla luce la bellezza nascosta in un sorriso, in un gesto, in cose e ambienti urbani di ogni giorno e di cui nessuno coglieva l'aspetto meraviglioso. Il tutto con un istintivo umorismo di situazione degno del miglior Jacques Tati. Una sensibilità di sguardo, quella di Doisneau, completamente legata al suo modo di vivere da genuino abitante della banlieu. Con la scomparsa dei vecchi sobborghi d'anteguerra, brulicanti di vita, e l'avvento della alienazione metropolitana degli anni Sessanta e Settanta che li avrebbe trasformati in anonimi dormitori, anche la vena creativa del miglior Doisneau si sarebbe lentamente, ma inesorabilmente, esaurita. Più di altri autori, e forse similmente solo ad Atget e Brassäi, Doisneau visse nel tempo, e per il tempo, in cui la sua Parigi è realmente esistita.

(vista il 13 settembre 2000)


Fondazione Italiana per la Fotografia
via Avogadro 4, Torino
(tel. 011.544132)
Ingresso: Intero Lire 10.000; ridotto: Lire 7.000.
Orario:
15.00 -19.00 dal martedì al venerdì.
10.00 - 19.00 sabato e domenica.

Dal 13 settembre al 5 novembre 2000.


07/06/00

GOLDBECK Eugene Omar


La figura singolare di Eugene Omar Goldbeck giunge a Torino con 32 stampe fotografiche contemporanee, tratte dai negativi originali conservati nell’archivio dell’Università di Austin. Goldbeck nasce nel 1891 o 1892, la data è incerta, a San Antonio (Texas), località ove morì nel 1986 e nella quale diverse delle fotografie in mostra sono state scattate. Sin da giovane ritrae i compagni e inizia, cosa questa importantissima, a vendere loro le stampe fotografiche che ne ottiene. Tutta la successiva vicenda professionale di Eugene non tradirà mai questo assunto iniziale che ne spiega in parte gli sviluppi. Già nel 1912 acquista la sua prima fotocamera panoramica, una Cirkut, e si autocostruisce il necessario per fare riprese dall’alto.

Queste scelte operative sono dettate dalla necessità di riprendere grandi gruppi di persone su più file in modo tale che ognuna di esse possa riconoscersi nella fotografia per quanto minuscola sia la sua apparizione. Difatti i veri clienti di Goldbeck sono le persone stesse che lui ritrae in gruppo e che, solo riconoscendosi in esso, ne acquisteranno di buon grado una delle copie messe in vendita dal fotografo. Tuttavia la ripresa panoramica orbicolare, per intenderci quella che al giorno d’oggi si può ottenere da fotocamere come la Horizon, va effettuata con un’esposizione temporizzata e la rotazione dell’obiettivo attorno al suo asse focale, il ché in ripresa richiede un livellamento orizzontale perfetto, per evitare distorsioni inaccettabili. Cosa questa che escluderebbe le riprese con la fotocamera puntata dall’alto verso il basso.

Il geniale Goldbeck riuscì a superare il problema con un congegno di sua invenzione che consentiva perfette riprese orbicolari, motorizzate e decentrate, su rulli appositi di grande formato, da altezze di molte decine di metri. La stessa genialità che Goldbeck rivelò in fototecnica, lo spinse a concepire riprese di sempre maggiore ambizione, culminanti nella straordinaria foto della Divisione di addestramento della base aerea di Lackland (San Antonio, Texas, 19 luglio 1947), nella quale ben 21.765 uomini formarono la stella con le ali, loro simbolo divisionale. La fotografia, scattata da una torre di 60 metri, richiese a Goldbeck sette settimane di lavoro per predisporre al suolo le posizioni prospettiche corrette degli uomini e le linee per la loro ordinata affluenza. Lo studio fu così accurato che in soli 45 minuti Goldbeck scattò la memorabile fotografia, che poi offrì in vendita alle persone in essa comparse, con un guadagno finale di certo interessante.

Goldbeck, del tutto inconsapevolmente e con il tipico pragmatismo statunitense, anticipò molte delle odierne operazioni di Arte concettuale e di Land Art. Osservati oggi i suoi risultati non cessano di stupire: dalle riprese ordinate di migliaia di militari con tutti i loro mezzi bellici schierati, tanto da sembrare soldatini di piombo disposti sul campo di gioco, come quella dei soldati della Divisione Taro Leaf alle Hawaii (1926), con 8500 uomini ricreanti il simbolo divisionale della foglia del Taro o anche VII brigata cavalleria meccanizzata di Fort Knox, il primo luglio 1938, immagine nella quale l’effetto prospettico compresso rende l’insieme, visto da lontano, simile allo skyline dei grattacieli nuovaiorchesi. Ma soprattutto nelle riprese di gruppi di civili il suo valore odierno giunge al suo apice. Vedere i singoli volti (osservabili uno ad uno, grazie alle lenti da ingrandimento messe intelligentemente a disposizione del pubblico), il loro abbigliamento, la posa, è un vero e proprio viaggio nel tempo.

Tutto è così perfettamente leggibile da poter pensare di scomporre una singola fotografia di Goldbeck in centinaia di intensi ritratti individuali. Vi si leggono storie, situazioni, richiami all’umanità descritta anche da scrittori come Steinbeck, al mito della frontiera, al razzismo dei Klan, alla, oggi, ridicola pretesa di bellezza delle prime bagnanti di provincia. Difficile lasciare le sale della mostra senza provare uno straniamento inquietante. Forse di lassù, Eugene sta preparando la fotografia planetaria che certamente il suo spirito senza limiti avrebbe voluto scattare. Per poi venderla ad ognuno di noi, of course.

(vista il 7 giugno 2000)



Fondazione Italiana per la Fotografia
via Avogadro 4, Torino
(tel. 011.544132)
Ingresso: Intero Lire 10.000; ridotto: Lire 7.000
Orario:
15.00 -19.00 dal martedì al venerdì
10.00 - 19.00 sabato e domenica
Curatori: Kitti Bolognesi e Roy Flukinger (Austin)
Catalogo: ACTAR, Barcellona
Dall’8 giugno al 30 luglio 2000

29/02/00

Ai confini del mare


Fotografie di Giovanni Chiaramonte.

Plasmati dalla relazione vivente di tempo, spazio e storia dell’uomo, i luoghi possono essere edificati e abitati davvero solo da chi, comprendendone e assumendone la storia, ne arriva a governare il tempo; anche per questa ragione in molti luoghi del Mediterraneo, a Gela come ad Atene…le forme della Modernità… emergono effimere e come straniere per ridursi, spesso e in breve tempo, a ruderi ridicoli, a relitti informi e senza gloria… Qui sono sempre tornato, malgrado i morti ammazzati per le strade dalle faide mafiose, malgrado la scoperta del petrolio, malgrado i fatti e i misfatti e le cronache vere e le fantasie che hanno fatto di Gela un’immagine dell’Inferno, un luogo comune del vergognoso meridione d’Italia. Malgrado tutto questo e proprio per tutto questo, le trame sensibili che nella gioia e nel dolore tessono ogni giorno il presente del mondo, i percorsi dell’esistere quotidiano che cercano a ogni istante in me e attraverso me un destino vero e capace di dare senso e compimento alla vita qui mi hanno sempre riportato come alla terra del ritorno, come al luogo del necessario vedere dove lo sguardo, imparando l’attesa, comincia a conoscere l’infinito e ad amare l’eterno.

Giovanni Chiaramonte, Ai confini del mare, Palermo, 1999.

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Nella sala espositiva della libreria Agorà arriva l'ultimo lavoro di Chiaramonte, realizzato a Gela, in Sicilia. Per la prima volta il fotografo affronta i luoghi d'origine dopo aver portato il suo sguardo lungo la penisola e nelle vastità americane. L'occasione è importante per verificare l'evoluzione di un autore che a lungo ha dato la speranza di poter proseguire il lavoro sul paesaggio italiano bruscamente interrotto dalla morte prematura di Luigi Ghirri.

In mostra appare una scelta, compiuta dall'autore, delle fotografie contenute nel catalogo che la accompagna, edito in occasione della prima inaugurazione siciliana. Bruno Boveri e Rosalba Spitaleri hanno ritenuto opportuno rispettare la successione delle fotografie stabilita nel catalogo stesso ed è così che appaiono al visitatore. Si tratta di stampe a colori piuttosto ordinarie, ottenute dall'ingrandimento di negativi a colori di medio formato (6x6). Colpisce sin dall'inizio la forte dominante giallastra che affligge omogeneamente tutte le stampe. La deliberata scelta progettuale di scattare nella luce radente del sole basso sull'orizzonte è stata forzata all'eccesso e l'intonazione così ottenuta lungi dal dare omogeneità al lavoro sortisce il fastidioso effetto di una trovata stilistica che lascia il tempo che trova.

Siamo lontanissimi dall'uso sapiente del colore di un Meyerowitz, di cui peraltro Chiaramonte è fortemente debitore. Siamo anche lontani da certe suggestioni di West Wards, il suo lavoro americano. Purtroppo nella mostra non compaiono alcune interessanti immagini della gente di Gela che avrebbero spezzato la monotonia di un paesaggio urbanizzato in modo desolante. Non è nemmeno lusinghiero il fatto che sia preferibile osservare il lavoro sul catalogo, ben stampato e con un costo incredibilmente basso (Lire 38.000).

Nel complesso la sensazione è che Chiaramonte abbia imboccato una strada manieristica senza grandi sbocchi concettuali. La difficoltà di trovare una via evolutiva tra due riferimenti del calibro di Meyerowitz e Ghirri è reale, tuttavia la soluzione non dovrebbe essere cercata nelle dominanti di colore e nelle soluzioni di inquadratura ripetute pari pari sia che ci si trovi in Florida piuttosto che a Gela, quanto nel tentativo estremo di liberarsi di loro nella mente e nell'occhio.

(vista il 29 febbraio 2000)


Libreria Agorà
Via S.Croce 0/e, Torino
(tel. 011.8394962)
Ingresso libero
Orario: martedì - sabato 9.30 - 19.00
Catalogo: 120 pp., 46 foto a colori, 25,8x24 cm., brossura, Palermo, 1999. L. 38.000.
Dal 4 febbraio al 4 marzo 2000.